martedì 9 dicembre 2008

Tradizione. Idee, teorie e forme


Il mito di Enea e la sua celebre fuga da Troia rappresentano, in maniera emblematica, la Tradizione: l'eroe che porta sulle proprie spalle il vecchio padre Anchise (con in mano le statuette dei Penati, gli spiriti degli antenati, protettori della casa), simbolo dell'uomo che ricorda e si riconosce nel proprio passato; ma l'eroe, a sua volta padre, tiene per mano anche il figlioletto Ascanio, il quale edificherà la nuova Troia (la Roma eterna), simbolo del futuro: perfetta immagine di trasmissione di padre in figlio.




Se pensiamo alla parola "tradizione" ci viene subito in mente un'immagine, una sorta di dipinto raffigurante usanze, costumi e luoghi lontani da noi; indietro nel tempo. Un qualcosa che ci appartiene ma che vive in un passato a cui possiamo avvicinarci solo tramite il ricordo, o l'immaginazione. Un qualcosa di irrangiungibile che, proprio per questo motivo, affascina e rende nostalgici al tempo stesso. Tuttavia Tradizione e nostalgia di tempi passati non sono la stessa cosa; anzi, erigere il passato a principio segna la scomparsa della Tradizione.

Su questo tema è interessante il libro Di padre in figlio: elogio della Tradizione di Marcello Veneziani. Nei tre capitoli che lo compongono, l'autore ci fornisce un ideario della Tradizione, ci spiega quali sono le maggiori teorie tradizionaliste e quali forme il fenomeno ha assunto attraverso il pensiero di diverse figure intellettuali come Nietzsche, Gentile, Vico, Machiavelli, Evola, Guénon, e tanti altri. Il suo studio si conclude con una domanda, cui segue una breve riflessione: «È viva e visibile la Tradizione nel nostro tempo?»

Come già detto, la Tradizione non è il culto del passato, di ciò che è estinto. Al contrario le tradizioni perdute non possono più nemmeno dirsi tradizioni perché hanno smesso di tradere. È invece nella resistenza alla morte che la Tradizione continua a vivere, e la sua essenza è «la visione di una continuità oltre il raggio individuale dell'esistenza».
Lo spirito della Tradizione non risiede nel rito o nell' usanza culturale, ma nella forma mentis che li originano. Tale spirito risiede nell'idea di Tradizione come categoria universale che mette il singolo o la comunità in condizione di «collegarsi, secondo un sapere e una prassi che si configurano appunto in una tradizione». Più è salda, e meno la Tradizione necessita di essere evocata. La cultura è, in questo senso, l'anello di congiunzione tra mito e realtà: è attraverso la costruzione di valori, usi e costumi che una comunità, riconoscendosi in essi e sentendoli come un qualcosa di naturalmente acquisito, può avvicinarsi al sacro; la Tradizione diviene allora la principale agenzia di questi valori e assume significato proprio in questa continuità, in questa viva trasmissione. Tuttavia, al fine di non creare confusione, va sottolineato che le tradizioni non sono universali, è il principio che le fonda ad esserlo.

La visione tradizionale è sempre una visione olistica, comunitaria. Fa tanto parte del passato quanto del futuro: essendo il suo principio vitale la continuità e non la memoria, essa «è il filo che unisce gli avi ai nipoti tramite noi»; il passato che attraverso il presente va verso il futuro. In questo scenario, dunque, se l'idea di Tradizione si fonda sulla trasmissione, sulla continuità, il suo antagonista non è il Progresso, come spesso ed erroneamente si tende a pensare, in quanto il Progresso non nega il concetto di continuità, anzi lo presuppone.

Quando una Tradizione muore, i valori vengono trasmessi da un Intellettuale Collettivo che, divenendo il nuovo interprete dello "Spirito del Tempo", può incaricarsi di liberare la comunità dal fardello delle radici e delle identità. Ma può anche farsi portatore di valori appartenenti a una defunta Tradizione. In questo caso, tali valori verranno percepiti come un qualcosa di distante dal comune sentire della collettività, e il vivere secondo questi valori risulterà più un'imposizione che un atto naturale.

La Tradizione, come abbiamo visto, è un importantissimo motore che, se acceso, trasmette ai popoli il bagaglio culturale che li catarerizza come tali. Non stupisce perciò che la Tradizione ha affascinato e acceso la curiosità di filosofi e studiosi dei fenomeni sociali. Veneziani ci illustra alcune (molte) teorie e vere e proprie ideologie fondate sul concetto di Tradizione di questi studiosi e ce ne fornisce, secondo il suo punto di vista, una sintesi.

Nietzsche (1844 - 1900) osserva la Tradizione e nota che la sua importanza varia a seconda dell'"ambiente" cui viene accostata. Se risulta indispensabile nella vita di un popolo poiché «architrave per la coesione sociale», risulta dannosa per l'individuo e in particolare per il filosofo, che dovrebbe svincolarsi da tale idea. Creare una nuova Tradizione, edificata dalla volontà di potenza e sul concetto di eterno ritorno dell'uguale, sarà invece compito del superuomo.
M. F. Sciacca (1908 - 1975) invece si fa più critico e se la prende col processo di estensione dei mercati, della globalizzazione diremmo oggi, colpevole di perpetrare uno sradicamento dei popoli e delle loro tradizioni. Studiando i fenomeni antagonisti di castrismo-guevarismo e kennedismo, egli osserva che sono due facce di una stessa medaglia. Le idee di queste due esperienze si congiungono e danno vita alla figura dell'anti-tradizionale liberal odierno.

Per Vico (1668 - 1744) la Tradizione è la tendenza umana a conservare «memorie delle leggi e ordini». I governi, e anche i poeti, devono conformarsi alla natura delle persone che sono governate. La sua visione della storia è ciclica ma non è una visione dove l'uguale ritorna eternamente, ma dove a ripresentarsi continuamente è l'analogo; il nuovo non è perciò ripetizione del vecchio, ma analogia. In un siffatto quadro l'idea vichiana di Tradizione non è incompatibile con l'idea di progresso.
Alla Tradizione dedica il suo studio anche Machiavelli (1469 - 1527), che la vede come elemento coesivo dei popoli e fondamento per le virtù civiche ed etiche. Per lui la politica non deve insegnare il bene, ma scovare il "nascondiglio del male" e combatterlo. L'attaccamento a valori tradizionali è un mezzo di lotta e di salvezza proprio a questo male, che per Machiavelli è caratterizzato dall'anarchico stato primitivo.

«La tradizione di un popolo è la sua paternità [...]», ci fa capire che «la nostra vita non è incominciata il dì della nostra nascita né sarà terminata il dì della nostra morte». Così parlò G. Gentile (1875 - 1944), e continua dicendo che una tradizione deve essere viva per essere vera; e, ravvisando lo spirito tradizionale italiano nei valori del Risorgimento, egli aggiunge che il Fascismo tentò di rendere disponibile la tradizione nazionale in epoca moderna: "socializzò i valori tradizionali".

Quando una Tradizione si eclissa e perde forza vitale, c'è chi assume una visione del mondo che si rifà ai valori di questa "morente" tradizione. Tale visione del mondo è il "tradizionalismo" e diviene una vera e propria corrente di pensiero. Capostipite della corrente tradizionalista è Joseph de Maistre (1753 - 1821). Secondo il suo pensiero l'ordine "preesiste al disordine" ed è difeso da una diretta discendente di un'autorità divina: la Tradizione. Per Donoso Cortés (1809 - 1853, in foto) la Tradizione è manifestazione di una universale verità assoluta che è andata comunicandosi di «padre in figlio, di famiglia in famiglia, di razza in razza, di popolo in popolo, per tutto il genere umano».
Altro rigoroso tradizionalista è R. Guénon (1886 - 1951). Egli da un lato fa convergere le tradizioni verso la Tradizione, poichè «tutte le tradizioni alla fine convergono verso la loro unità trascendente», dall'altro però separa le tradizioni dalle loro forme volgarizzate.
Alla base delle civiltà tradizionali vi è l'intuizione intellettuale e Guénon nota che la religione è una forma tradizionale e non riconoscerà mai le tradizioni profane come legittime. Tuttavia anche il Protestantesimo assume forma di religione anti-tradizionale poiché fondamento metafisico dell'individualismo.

Concludiamo con J. Evola (1898 - 1974). Egli lesse la Tradizione «in chiave antagonistica rispetto alla storia», la sua idea è anello di congiunzione tra Nietzsche e Guénon. Il tradizionalismo evoliano si prefigura come visione di una Tradizione senza Dio ove l'Essere non è fondamento della Tradizione, ma si identifica con essa. Per lui la Tradizione non è continuità, non è trasmissione; e non è nemmeno il comune sentire di un popolo. La Tradizione è una patria ideale a cui possono avvicinarsi solo pochi eletti, individualità coraggiose ed eroiche. Il "tradizionalissimo" concetto "Dio, Patria, Famiglia" non trova posto e senso nel tradizionalismo evoliano. La Tradizione non ha bisogno di Dio, la famiglia è un residuo cristiano-borghese, la patria diviene "vera patria" se ci si svincola dai legami di luogo e sangue. La "patria evoliana" è come una ideale Legione popolata unicamente da individui appartenenti a una aristocrazia guerriera o sapienziale.

Ciò che è "tradizionale" nell'aristocratico tradizionalismo di Evola è la profonda e radicale critica alla modernità, il richiamo a princìpi tradizionali come l'onore, la fedeltà, la gerarchia e, a rimanere integro è anche il significato esoterico della Tradizione, ovvero che il suo piano superiore sia accessibile solo a pochi eletti.

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